Prefazione di A. Cavalli

Gli euroscettici di tutti i colori, presenti un po’ ovunque da Nord a Sud, da Est a Ovest, e particolarmente vociferanti nelle isole britanniche, amano evocare lo spettro dell’Europa superstato. Bruxelles è il nuovo tiranno che minaccia l’indipendenza delle nazioni e le libertà dei cittadini. Nonostante il bilancio dell’Unione a ventisette stati non superi quello di uno solo degli stati membri di media grandezza e la burocrazia comunitaria sia comparabile a quella di una grande città come Roma o Milano, l’idea un po’ orwelliana e un po’ kafkiana di una grande potenza remota e tutto sommato ostile alimenta un sentimento anti-europeo che rischia di quando in quando di prendere il sopravvento sull’europeismo diffuso.

Questa distorsione prospettica, che popola l’immaginario collettivo di un fantasma inesistente, dipende da almeno due fattori. Il primo è banale: la burocrazia dell’Unione, non potendosi occupare delle questioni rilevanti sulle quali gli stati mantengono gelosamente le loro prerogative sovrane, si espande anche in campi dove l’azione a livello europeo non è indispensabile e dove però interferisce con l’attività quotidiana di molte persone. Per fare un esempio banale, non c’è nessuna ragione di fondo per cui la quantità di cacao nel cioccolato debba essere regolamentata a livello europeo. Il secondo fattore, più importante, dipende dal fatto che il modello culturale di riferimento nella testa della gente (ma anche degli studiosi e dei politici) resta lo stato nazionale accentrato, una forma di organizzazione politica che ha dominato la storia dell’Europa moderna fino alle due guerre mondiali, ma che è poi entrato irrimediabilmente in una fase di declino. L’Europa non sarà mai una nazione e l’Unione non sarà mai uno stato nazionale.

L’Unione Europea è una strana costruzione, a mezzo tra un’organizzazione interstatale e uno stato federale. C’è chi sostiene che l’Europa non sarà mai uno stato, neppure uno stato federale, e continuerà ad essere un’entità difficilmente definibile in base alle categorie statuali. Altri sostengono, invece, la tesi opposta o, meglio, che il processo di integrazione entrerà inevitabilmente in crisi se non imboccherà la strada della costruzione di uno stato federale. Di certo il processo ha subito storicamente accelerazioni, rallentamenti e anche fasi di vera e propria stasi e non è escluso che possa anche risultare in qualche misura reversibile. 
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